Un mondo di dati. Tra libertà e controllo
gruppo Ippolita alla Biennale della Democrazia di Torino
Gruppo Ippolita e Dino Pedreschi
coordina Emiliano Audisio
Gruppo Ippolita alla Biennale della Democrazia di Torino
Velocità e trasparenza sono le parole d’ordine della nostra società.
La scienza delle reti e i big data ci offrono nuove prospettive di osservazione sulla rapida crescita di internet, sul diffondersi tumultuoso di notizie, informazioni, epidemie e crisi finanziarie. Corriamo il rischio, però, che al motto “non preoccupatevi, ci pensano le macchine!”, le procedure democratiche vengano via via sostituite da pratiche tecnocratiche opache, improntate al controllo. Non possiamo accomodarci, dobbiamo cercare nuovi modi per tenere in equilibrio macchine, libertà umana e organizzazione della vita sociale.
Gruppo Ippolita alla Biennale della Democrazia di Torino
Come guadagna Google? Più in generale, come è possibile che tutti i servizi della Rete (ovvero del Web 2.0), Facebook e Twitter, LinkedIn e WhatsApp, G+ e Skype, tutte le miriadi di giochi e applicazioni, siano gratuiti? Tale è la promessa della democrazia senza sforzo, della libertà a costo zero, o meglio esentasse (per i padroni digitali).
La moneta con cui paghiamo il prezzo di tutto ciò siamo noi, sono i nostri percorsi, le nostre esplorazioni, la nostra unica e inimitabile impronta digitale, e Google ha anticipato i tempi fornendo un nuovo modello di business che sta cambiando le aziende produttrici portandole a realizzare «prodotti di massa personalizzati». Oggi chi vuole fare profitto si adegua rapidamente.
I servizi che usiamo li paghiamo con qualcosa di più prezioso del denaro: le nostre informazioni personali e quelle dei nostri amici. Ogni volta che utilizziamo i servizi 2.0, così come tutte le altre dozzine di applicazioni collegate, in ognuno di quei momenti stiamo regalando informazioni su noi stessi. Questa pratica si chiama profilazione e ufficialmente viene usata per proporci pubblicità mirate. Se siamo terroristi, pericolosi per la democrazia e la libertà, vengono fornite alle agenzie che ne fanno richiesta, ma intanto ogni nostro movimento viene registrato e il dossier digitale di ciascuno di noi cresce a dismisura.
Noi non abbiamo alcun controllo su quei dati, non sappiamo nemmeno come vengano gestiti ed è curioso che ci si preoccupi tanto del controllo esercitato da parte dello Stato e delle sue agenzie, a partire da quelle fiscali, e così poco del controllo applicato dai nuovi padroni digitali. Il nitore «googliano», così come la trasparenza relazionale che Facebook propone e impone, fa da contrasto al completo occultamento dei sistemi tecnici e dei dispositivi economici.
La trasparenza totale, propagandata come stile di vita onesto, è una trasparenza del nulla, poiché chi è responsabile del servizio si sottrae a qualsiasi confronto. Provate a chiedere conto a Facebook di come tratta i vostri dati; provate a chiedere a PayPal perché vi ha bloccato il conto. Se siete abbastanza influenti è possibile che vi rispondano, ma non prima di avervi fatto firmare un apposito Non-disclosure agreement (Accordo di riservatezza): la trasparenza vale per la massa, non per i sistemi di potere, e l’ingegneria sociale sottesa alla piattaforma rimarrà dissimulata, negata, materia per la tecnocrazia.
Questa vigilanza costante sui flussi digitali in tutto il globo fa girare parecchio denaro. L’industria dei meta-dati e del profiling legato alle tecniche di data mining è tutto ciò che non riguarda il dato in sé, ma il complesso delle informazioni che vi ruotano attorno: chi, dove, in relazione a cosa, in quale stato emotivo.
Oggi si parla di Big Data come del nuovo filone aurifero dell’economia informatica: questo tipo di mercato fa affidamento sull’inconsapevolezza dell’utente, sulla leggerezza con la quale espone le sue informazioni personali, sull’entusiasmo con cui le fa circolare insieme a quelle di coloro che lo circondano, mentre è diventato urgente elaborare una visione complessiva, trasversale, critica, e bisogna insistere sulle pratiche di autoformazione e autodifesa digitale.
Internet non si sta espandendo e arricchendo; Google non sta rendendo il mondo più democratico; Facebook non ci sta rendendo migliori; Apple non ci sta facendo diventare creativi; Amazon non sta ampliando la nostra possibilità di scelta; Twitter non è il nostro orecchio sulle rivoluzioni in corso. Ci sono solo un pugno di protagonisti, i nuovi padroni digitali appunto, i grandi mediatori informazionali, che ricombinano lo spazio in sotto-reti comunitarie sempre più omogenee.
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31 marzo 2019
h 16.30
Auditorium Vivaldi
Piazza Carlo Alberto, 3
Torino