Gloria Anzaldua. El árbol de la vida.
Un estratto dal volume di Gloria E. Anzaldua Luce nell’oscurità /Luz en lo oscuro. Traduzione di Laura Scarmoncin, Consulenza culturale e traduttiva dallo spagnolo Saya Mamani, Cura del gruppo di ricerca Ippolita, Meltemi 2023, collana Culture Radicali. L’estratto è comparso su L’indiscreto.
Gloria Anzaldua. El árbol de la vida / l’albero della vita. Siedo sulle radici nodose dell’albero de la Virgen e gli parlo quando mi sento piena di gioia o mi soverchiano ricordi dolorosi e il mormorio delle onde non riesce a lenire gli spasimi. Un febbraio di molti anni fa un’inclemente tormenta invernale ha reciso parte di questo cipresso di Monterrey e l’arborista del parco ha segato il ramo mozzato e il fianco ferito del fusto. Quel giorno, con gli spiriti che languivano, ho camminato verso l’albero sulla West Cliff che costeggia il mare. Tra la pioviggine, la foschia e il vento sferzante, d’un tratto l’ho vista sbucare dal tronco incavato: era la Virgen de Guadalupe, la testa china, le braccia protese, un’aureola effusa tutt’attorno. Da distante, le ambre e i bruni vividi e luminosi del legno grezzo appena potato e delle fibre ciondolanti del fusto assomigliavano alle pieghe della sua veste. Da allora si sono dilavate in un grigio stinto come le case sbiadite dal sole dei messicani nel Texas del sud. Ma da quando l’ho vista emergere dall’albero la mia mente scorge la Virgen ogni volta che vado incontro al cipresso, non importa quanto gli anni, le tormente o il mare ne alterino il tronco.
Quando passeggio con loro, le mie compagne non scorgono la Virgen finché non gliela faccio notare. Poi la vedono sempre e la indicano alle amiche. È un po’ come dare la caccia agli animali nascosti nei libri da colorare per bambini: serve un leggero slittamento di prospettiva per coglierli tra le fronde. Sento che l’albero mi sta insegnando a percepire non soltanto con gli occhi ma con tutto il corpo, e soprattutto a vedere con gli occhi del mio altro corpo. L’albero Guadalupe mi ricorda qualcosa che ho scordato – che il mio corpo ha sempre avvertito la speciale relazione tra gli alberi e gli umani, che possediamo una consapevolezza corporea degli alberi e loro di noi. La consapevolezza non risiede soltanto nella mente, ma comprende anche la conoscenza del corpo. Tale consapevolezza risveglia una qualche memoria profonda e recondita o conoscenza perduta di epoche lontane, ricordandomi che sto compiendo qualcosa che non sapevo di sapere. Mi ricorda che sin da bambina ho intessuto un’incessante relazione con gli spiriti degli alberi e dei luoghi naturali, e che posso alterare la coscienza per comunicare con loro. Per le chamanas, la coscienza indica quella parte del nostro essere chiamata “spirito”; alberi, rocce, fiumi e animali posseggono una coscienza. Sono giunta al conocimiento che questa pratica guaritrice personale, privata, spirituale si impernia sulle nostre vite quotidiane – il lavoro, la gente, i luoghi, le emozioni e le esperienze individuali che compongono la nostra esistenza. La storia dell’albero della Virgen è una visione guaritrice; anche le storie (“insegnamenti”) guariscono.
Spirito e mente, anima e corpo sono uno, e insieme percepiscono una realtà più grande della visione esperita nel mondo ordinario. So che l’universo è cosciente e che spirito e anima comunicano inviando sottili segnali a chi presta attenzione a ciò che ci circonda, agli animali, alle forze naturali e alle altre persone. Riceviamo informazioni dagli antenati e dalle antenate che abitano altri mondi. Vagliamo quelle informazioni e impariamo a fidarci di quel sapere. La mente non inventa; non fa che immaginare ciò che esiste e dire all’anima di ricordare. L’anima dimentica e i segnali della natura i cui spiriti esistono nei campi, nelle foreste, nei fiumi e in altri luoghi, così come gli arrebatamientos (eventi traumatici), devono riportarla al ricordo più e più volte. “L’immaginazione invece ci rischiara, ci parla, ci canta” scrive Joy Harjo.
Oggi, col profumo del mare che si spande e la fragranza del cipresso che si sperde, chiedo all’albero un’ispirazione. Gli chiedo di aiutarmi a immaginare e ad aprirmi a el cenote, quel pozzo sotterraneo di memorie e immagini sciamaniche, e a trovare una trama per questo saggio. Subito un’immagine mi si fa incontro: es el árbol de la vida, el árbol de Tamanzuchan, un’immagine di cui ho scritto molte volte. L’albero è il nesso tra i mondi. Proprio come l’albero cosmico connette il mondo disotto, di mezzo e disopra, io connetterò le parti di questo saggio: dalle radici nel suolo risalendo per il fusto ai rami sino al cielo, un viaggio dagli abissi del sottomondo che ascende al mondo fisico concreto e poi alle realtà superiori dello spirito, in un incessante movimento di discesa/ascesa. Ma il problema con questa descrizione alto/basso, lineare, è che questi tre mondi non sono separati. Interconnessi e sovrapposti, occupano lo stesso luogo.
Ora ho un paradigma, una cornice o schema per cogliere e spiegare alcuni aspetti della realtà, e organizzerò le mie immagini, le mie idee e la mia conoscenza grazie a questa mappa mentale. Poi devo pensare per immagini, andare a caccia di simboli e cimentarmi in interpretazioni concettuali di quelle immagini – ovvero, devo tradurle in simboli per i concetti e le idee. Devo farlo non controllandole come vuole la mia mente cosciente ma arrendendomi a loro e lasciando che mi guidino.
L’albero del mondo
L’albero del mondo, axis mundi, è tripartito. Il sottomondo esiste al di sotto della superficie della terra ed è rappresentato dalle radici; è la dimensione delle energie terrestri, degli spiriti animali e dei morti che non sono proseguiti al livello successivo di esistenza. In questa dimensione l’anima è la conoscenza delle stagioni, del clima, della vita animale e vegetale e dei morti, così come delle tecniche che guariscono malattie e affezioni. Lo psicologo post-junghiano immaginale/archetipico James Hillman definisce il sottomondo “lo stile mitologico atto a descrivere un cosmo psicologico”. Qual è la natura di tale dimensione? Stando a Hillman, si riferisce alla prospettiva psichica, all’attitudine dell’anima: “Non presenteremo immagini del sottomondo […]. No, il sottomondo è una prospettiva interna all’immagine, per mezzo della quale la nostra coscienza è iniziata al punto di vista del sottomondo”. Il mondo di mezzo, la superficie concreta sulla quale viviamo le nostre vite ordinarie, è simboleggiato dal fusto; è la dimensione del pianeta e delle propaggini remote dell’universo. Viaggiare nel mondo di mezzo può mostrare alla chamana le effettive condizioni della realtà ordinaria e i suoi aspetti spirituali; la chamana può scoprire l’ubicazione di qualcosa, influenzare il clima, vedere persone ed eventi da distante, viaggiare per incontrare gli spiriti del luogo e officiare rituali per onorare o propiziare quelli della natura. Rappresentato dai rami, il mondo disopra al di là del cielo è il mondo delle energie incorporee, degli spiriti che sono dèi e dee, degli spiriti dei morti che hanno oltrepassato la terra dei morti. Non sono certa se Tlatlayan – l’aldilà, l’altro mondo – sia rappresentato dal mondo disopra o disotto.
Questi tre mondi interconnessi, sovrapposti, sono lo stesso luogo. Le sciamane viaggiano nelle tre dimensioni del cosmo per conoscere l’universo oltre la terra, esplorare universi paralleli e ricevere l’ispirazione divina. La conoscenza e l’aiuto provenienti dal mondo disopra ci istruiscono sui nostri ruoli come esseri spirituali partecipi di un’esistenza più grande, più cosmica. Queste tre geografie di mondi, tipologie di spiriti ed esperienze spirituali differiscono culturalmente.
Gravida di storia
Ero la ragazzina la cui immaginazione inghiottiva la casa, le lagune, i recinti e i boschi. La mia immaginazione mi ha ingravidata di storia. Mangiavo sul serio le storie delle mie nonne e di mia madre. “Non andare in acqua”, diceva mia madre. “Un serpente ti striscerà nella vagina e ti metterà incinta”. La sua era una fiaba ammonitoria perché non mi denudassi come le ragazzine gringa. “Non uscire la sera tardi. Un serpente ti entrerà nella vagina”. Ma in realtà mia madre stava dicendo: “Non uscire la sera tardi, un uomo ti stuprerà”. Questa associazione tra lo stupro e un serpente o una lucertola che risalgono la vagina e covano nell’utero trova le proprie origini in un racconto documentato da Bernardino de Sahagún nel XVI secolo. Come spiega Rosan A. Jordan, le donne venivano messe in guardia: non fate il bagno in laghi e fiumi (ovvero, non esponete le vostre grazie femminili agli occhi altrui); l’axolotl (lo stato larvale della salamandra) si insinuerà in voi, ingravidandovi di piccoli animali. Alcune credevano che lo sperma vivesse nei fiumi e nei laghi. Ma il serpente della mia immaginazione è femminile: la Donna Serpente, un altro nome per la Llorona nel cui corpo spettrale dimora el nagual (un essere umano che trasmuta in un animale o nello spirito protettore di una persona) che possiede la facultad, la capacità di mutare forma e identità. Sin dall’infanzia gli umani-animali mi hanno affascinata (e non mi sto riferendo agli uomini-lupo qui). Vedo la Donna Serpente/la Llorona come un rettile attorcigliato dalla testa di donna e come un corpo di donna dalla testa di cavallo.
El nagual nella mia casa
Entro in salotto e una sagoma ombrosa ondeggia sul tappeto. Il mio cuore sussulta. Es una víbora, qualcosa di famigliare, e quando la riconosco il cuore mi si placa. Sono incappata in “veri” serpenti innumerevoli volte nella mia vita, ma questo mi si è insinuato in casa – per la seconda volta in dieci anni. Il serpente vive sotto le fondamenta; è entrato in salotto risalendo da una fessura nel pezzetto di terreno scoperto all’ingresso, dove cresce una grande pianta. Questa notte sueño con la víbora; un serpente immaginale (una figura psichica interiore) appare in uno dei miei sogni e due giorni dopo, mentre passeggio per il parco di Lighthouse Field, un altro “vero” serpente incrocia il mio cammino. Materiale o immateriale che sia, per me este animal rappresenta simbolicamente la trasformazione: incontri dove la natura – un uccello, un albero, il vento – rapisce la mia attenzione e mi risveglia a una nuova realtà, una spiritualità guaritrice che invoca il risanamento dell’anima. Ascolto il serpente avvertirmi: “Stai dissipando energia e parti del tuo spirito sono andate perdute. Ritrova i pezzi mancanti della tua anima”. En estos encuentros sento di essere “incappata” nel mio animale protettore, il mio dáimōn, conosciuto come “el nagual” nelle tradizioni spirituali tolteche.
Quando m’imbatto nella víbora, il mio spirito protettore, mi pervade una quiete profonda. Sono cosciente del mio respiro e del battito del mio cuore, ma di nient’altro. Il tempo collassa. Il mio corpo cambia marcia. Mi cuerpo diventa parte di, si fonde con, “scompare” in ciò che mi circonda. Percepisco la sua intensa concentrazione e consapevolezza del serpente – lo vedo, e lui vede me. Il mio corpo manda viticci di consapevolezza dal plesso solare al corpo del serpente e la mia coscienza fluisce lungo questi filamenti nella víbora. La mia lingua diventa la sua lingua, saggiando e assaggiando l’aria. Quando la mia coscienza fluisce in un animale diventa il mio tramite per osservare, percepire, toccare, ascoltare, gustare e odorare nel sottomondo o altromondo. La psicanalisi chiama simili dimensioni “inconscio”, un concetto astratto, le terre ignote. L’animale reale/immaginale mi inizia a questi mondi tramite la sua prospettiva e il suo “linguaggio”.
Ho incontrato serpenti tutta la vita – serpenti a sonagli che s’intrufolano sotto la veranda, serpenti reali succhia-uova nel pollaio, serpenti a frusta che strisciano sulla terra arida, serpenti da cortile che dormicchiano en el jardín. Sebbene siano serpenti de carne y hueso, attivano nella mia mente immagini immaginali, simboliche. Questa confluenza tra i serpenti fisici e immaginali li rende indistinguibili gli uni dagli altri. Secondo Hillman, le immagini animali non rappresentano gli istinti, né indicano la nostra bestialità. Non sono immagini nostre, non sono immagini di animali ma immagini come animali. Ci mostrano che le immagini sono forze daimoniche, equivalenti agli “spiriti”. Le immagini sono animali, che aiutano quegli esseri che ogni notte ci accompagnano lungo il viaggio nel sottomondo. Tutte le immagini interiori, afferma Hillman, sono “animali guida”, e la guida è l’immaginazione. Nei sogni le immagini animali sono “portat[rici] dell’anima […] venut[e] ad aiutarci a vedere nel buio”. Gli animali guida e gli spiriti maestri possono essere aspetti dei loro “sé supremi”, o archetipi junghiani. Un viaggio nel sottomondo può essere inteso come l’entrare in contatto con gli inconsci personali o collettivi, oppure come un’escursione in un universo parallelo. I serpenti potrebbero simboleggiare la vita dell’inconscio.
Percepire qualcosa da due angolature differenti crea uno sdoppiamento nella consapevolezza che può condurre alla capacità di controllare la percezione, di bilanciare le visioni del mondo della società odierna con la visione del mondo nonordinaria e di muoversi tra queste verso uno spazio che al contempo esiste e non esiste. Chiamo l’accesso a questa dimensione “nepantla” – la parola nahuatl per uno spazio di mezzo, el lugar entre medio. Nepantla, palabra indígena: un concepto que se refiere a un lugar no-lugar. Nelle pitture murali di Teotihuacan il nepantla rappresenta l’aldilà. La mia concezione del nepantla è simile alla teoria dello spazio liminale di Victor Turner. Turner ha modificato il concetto di liminalità di Arnold van Gennep per descrivere un’area di transizione impetuosa, il punto di contatto tra i mondi della natura e dello spirito, tra gli umani e il numinoso (divino). Un simile spazio liminale facilita l’avvicinamento e la giunzione di questi mondi mediante la trasformazione rituale.
Accordandosi con l’“altra” mente o l’“altro” sé l’inconscio creativo accede a el cenote, un fiume interiore, sotterraneo, di informazioni. Prestando attenzione al flusso del vissuto mentale diventiamo consapevoli del tessuto connettivo, nepantla, il ponte tra i compartimenti o, per usare le parole di santa Teresa d’Ávila, tra le “stanze” del sé. Il nepantla è il ponte tra il materiale e l’immateriale, il punto di contatto y el lugar tra le realtà ordinarie e spirituali, la bisettrice nel continuum verticale di spirito/anima che colloca la spiritualità all’estremità superiore (firmamento) e l’anima all’estremità opposta (sottomondo). Secondo la spiritualità messicana indigena, el alma es una entidad que puede desprenderse del cuerpo. L’anima è l’interiorità tanto del carattere umano quanto del mondo esteriore, l’anima mundi. La dimensione dell’immaginazione dell’anima crea ponti tra corpo e natura e spirito e mente, dando vita a tali connessioni nello spazio di mezzo del nepantla. Il nepantla è anche il luogo in cui avvengono trasformazioni o rinascite spirituali durante gli stati di coscienza visionari.
Perdita dell’anima e susto
Il processo di sfaldamento (il processo Coyolxauhqui), dell’essere ferite, è una sorta di smembramento iniziatico sciamanico che dà alla sofferenza un valore spirituale ed espressivo. Nel corso del viaggio di trance estatica, il travaglio iniziatico della sciamana prevede alcuni tipi di morte o disgregazione. Dilaniata in unità essenziali e poi ricostruita, la sciamana acquisisce il potere di guarire e fa ritorno per assistere la comunità. Per essere guarite dobbiamo essere smembrate, lacerate. La guarigione avviene nella disintegrazione, nella demolizione dell’ego quale unica autorità del sé. Nel comunicare con loro, il viaggio immaginale rende proficue le nostre ferite. Le immagini guaritrici recuperano i brandelli, sanano las rajaduras. Come nota Hillman, la guarigione è un radicale mutamento di attitudine che implica un assestamento e un abbandono dell’“ego-eroismo”. Pretende che cambiamo prospettiva.
La curandera, la guaritrice della gente
Se il mondo è un costrutto e il significato è reso dalla mente e non inerisce agli oggetti, ciò vorrebbe dire che quel che conosciamo ed esperiamo è una proiezione. Cos’è reale allora? “Pensi che gli spiriti siano reali?” mi ha chiesto un’amica. La domanda mi è stata posta molte volte e ogni volta mi riporta alla mia infanzia, quando ho appreso, osservando las curanderas de mi mamagrande, che il mondo fisico non è l’unica realtà.
Nonna Ramoncita credeva che una donna anziana avesse fatto innamorare di lei suo figlio, mio zio Rafa, con un sortilegio. Esa mujer que había embrujado a mi tío tenía papeles, pero la gente del paese le dava sempre della mojada. Rafa ne era ossessionato. Non riusciva a mangiare, non riusciva a dormire e se ne andava in giro como un becerro perdido. El resto de la familia attribuiva il suo stato a los nervios, non al sortilegio. Rafa si rivolse ad alcuni medici di Edimburgo, McAllen e Reynosa, ma in lui non trovarono nulla che non andasse. Alla fine, quale ultima risorsa, Mamagrande Ramona assoldò una curandera da Las Flores, una cittadina oltre la frontiera, para que viniera a curar mi tío de su enfermedad.
Il giorno dopo vidi la curandera arrivare su una vecchia Chevro scalcagnata. Era una donna minuta dai tratti marcatamente indi. Affermò di essere un’apprendista di don Pedrito Jaramillo. Mia nonna aveva nutrito un profondo rispetto per il santo guaritore don Pedro, che era vissuto a Olmos, un insediamento vicino alla città di Falfurias nel Texas del sud. Mi abuela me platicaba que gente da tutto il sudest e posti tanto lontani quanto New York era solita recarsi da lui per essere guarita. Fino a cinquecento persone si accampavano al fiume Los Olmos e attendevano che curasse con un miscuglio di sciamanesimo, erbe e invocazioni ai santi e alle sante cattoliche. Don Pedro morì quando mia nonna era ragazzina, ma aveva istruito altre persone perché portassero avanti la sua opera. Molti e molte ancora oggi percorrono lunghi tragitti per deporre ghirlande e lettere sulla sua tomba, per meditare e pregare. Se passeggiate in una qualsiasi botánica del sudest o del Messico del nord, vi imbatterete in candele con la sua effige e un’invocazione. È diventato un eroe popolare, un eroe che la Chiesa cattolica non ha ancora canonizzato.
La curandera cominciò prendendo alcuni rami sottili legati assieme da erbe e sfregandoli sul corpo di mio tío. Con té hecho de hierbas y hojas de eucalipto, frotó su cuerpo. Era una limpieza, disse. Poi prese un huevo fresco, un uovo fresco, e glielo strofinò sul corpo. El huevo, affermò, avrebbe assorbito la malattia causata dall’invasione di uno spirito maligno. Ruppe l’uovo in una ciotola e lo esaminò in cerca di macchie o segni. Le macchie e la condizione dell’uovo, disse, l’aiutavano a divinare la causa e l’origine del malanno. Después enterró el huevo en la tierra. Seppellì l’uovo in cortile.
Poi rimase nel bel mezzo della sala da pranzo con gli occhi semichiusi, ciondolando avanti e indietro per circa dieci minuti, senza dire una parola. Proprio quando pensai che stesse per cadere, riemerse dalla sua trance e uscì dalla casa per la porta sul retro. La seguimmo. Si accovacciò al confine della cucina e fissò l’intercapedine. Poi allungò il braccio scarno e scuro fin dentro le fondamenta del pavimento ed estrasse una palla rotonda che pareva ricoperta di un pelame bagnato. Lo fece altre due volte. Le tre palle erano identiche. Sembravano ratti morti accoccolati. Con mis dos ojos los ví. L’avevo osservata attentamente sin da quando era arrivata – non ebbe il tempo di piantare le palle sotto la casa.
Quella notte Rafa dormì bene e il mattino dopo consumò un’abbondante colazione di huevos rancheros con fagioli e sei tortillas. Era tornato al suo vecchio io vivace y yo empezé a tenerles fé a las curanderas e la realtà degli spiriti. La gente disse che la curandera aveva “el don”, il dono di saper guarire, assieme a una “vista” speciale, che le permetteva di conoscere le cause e le cure delle malattie.
Durante la mia infanzia il curanderismo e l’hechicerismo erano un aspetto della comunità chicana accolto eppure disdegnato. Gran parte dei messicani e delle messicane americane, avendo ingoiato il disprezzo dei bianchi per la medicina indigena, non credevano che le curanderas potessero risanare l’anima e guarire il corpo. Ritenevano che tutte le curanderas e i curanderos fossero dei ciarlatani, pronti a fregare dollari agli allocchi. Ma molti e molte altre continuarono a praticare il curanderismo al fianco della medicina occidentale tradizionale. Chi di noi crede in questa pratica sa che ogni malattia ha cause psicologiche: per poter curare, dev’essere medicata l’intera persona. Sappiamo anche che esistono alcuni morbi anglo che solo la medicina occidentale può sanare. È stato soltanto pochi anni fa che chi fa ricerca accademica ha restituito ai curanderos la rispettabilità con i suoi documentari, conferendo legittimità culturale alla medicina tradizionale.
Le chamanas, le curanderas, le artistas e le attiviste spirituali, come le nepantleras, sono persone liminali, alle soglie della forma, perennemente nell’intra e nel frammezzo. Si muovono tra differenti realtà e stati psichici, viaggiando in altri mondi oltre l’ordine naturale o lo status quo. Spesso le curanderas esprimono una visione oppositiva della realtà. Per loro, la vita è una lotta tra le forze del bene e del male, e le loro esistenze e filosofie terapeutiche possiedono una qualità conflittuale. Mediano tra forze vivificanti e mortifere, uniscono gli opposti in una qualche maniera costruttiva. Paiono compiere un atto di equilibrio stando al di sopra della contesa e padroneggiando entrambe le fazioni. L’ideologia culturale dei curanderos rappresenta un adattamento – non un’adozione – dell’ethos cristiano. L’equilibrio sciamanico non è ottenuto mediante la sintesi; non è una condizione statica raggiunta risolvendo il contrasto, una tensione che esiste quando due forze si schiantano frontalmente l’una con l’altra e non sono riconciliate ma vacillano sull’orlo del caos. Un simile equilibrio non è quello del sommo bene quale giusto mezzo. Un polo non può esistere senza il suo opposto, come invece piace credere agli occidentali, che cercano il bene senza il male, il piacere senza il dolore, dio senza il diavolo, l’amore senza l’odio. Ma la chamana sta alla giuntura delle forze contrapposte e si muove tra loro.
Viaggio sciamanico
Un tipo di soprannaturalismo mesoamericano, il nagualismo è un’epistemologia alternativa, una teoria popolare della conoscenza condizionata da un’ideologia e da un sistema di credenze antichi. Gli assunti (visione del mondo) basilari del nagualismo sono il trasmutare forma (la capacità di diventare un animale o una cosa) e il traghettare verso altre realtà. Questi viaggi richiedono un genere diverso di “visione”: la capacità di avvertire il mondo in modo differente, l’esperienza percettiva di ciò che Carlos Castaneda chiama la realtà “nonordinaria”. Per “vedere” è necessario “fermare il mondo” (cosa che avviene con l’interruzione del flusso dei pensieri e delle interpretazioni del quotidiano). Per “vedere”, dice don Juan, ci si deve insinuare tra i mondi della realtà ordinaria e il mondo degli stregoni. Questo modo di “leggere” la realtà è il fulcro della chamanería.
El chamanismo es una alianza entre los humanos y “los dioses” – la chamana explica, alivia, y previene las desgracias. Come sistema di guarigione basato sulle prassi spirituali, la chamanería è sopravvissuta per oltre quarantamila anni. È la più antica pratica religiosa conosciuta, una pratica in cui lo sciamano/la sciamana o nagual intraprende un “viaggio” (o viaggio estatico) nel sottomondo, nel mondo disopra o altri mondi, muovendosi da una dimensione all’altra per incontrare gli “spiriti” dai quali ottiene intuizioni guaritrici per portarle con sé e aiutare la comunità. La chamanería è un sistema animistico, una “religione della natura”, un sistema terapeutico e una pratica spirituale personale, privata, che si concentra sulle nostre vite quotidiane – il lavoro, la gente, i luoghi, le emozioni e le esperienze individuali che compongono la nostra esistenza. La chamanería risveglia una memoria profonda e recondita o una conoscenza perduta di epoche lontane. La sciamana acquisisce tale conoscenza e potere dagli spiriti soccorritori nei quali s’imbatte nel corso dei viaggi in altre realtà. Si serve di precise tecniche per alterare la coscienza così da poter accedere a contesti spirituali celati a coloro la cui consapevolezza si concentra interamente sulla realtà ordinaria della vita quotidiana. È una “viandante tra i mondi”, che entra intenzionalmente in dimensioni che altre persone incontrano solo nei sogni e nei miti, e che riporta con sé informazioni (una ricchezza per guarire gli altri, le altre, la comunità, la terra).
Non sono il servizio o le specifiche attività che la sciamana offre alle persone a renderla tale ma il metodo con cui trae conoscenza e potere per compierli. Prima di prescrivere un’erba si consulta con i propri consiglieri spirituali o, per farlo, può persino viaggiare nelle dimensioni dello spirito e parlare direttamente agli spiriti delle piante. Quando interpreta i sogni può domandarne il significato ai maestri e alle maestre spirituali o può viaggiare a ritroso nel sogno per interrogare le figure che vi compaiono. La sua conoscenza e il suo potere vengono dagli spiriti. Questi spiriti che consigliano e impoterano possono essere spiriti animali, spiriti di un luogo, spiriti degli elementi dell’aria, dell’acqua, del fuoco e della terra o gli spiriti ancestrali dei morti.
Quando le chamanas intraprendono un viaggio interiore si aprono un varco nel piano della realtà e trovano i loro alleati e le loro alleate nel regno dell’inconscio; si incontrano con gli antenati, le antenate o gli archetipi mitici, lottano con le forze demoniche del subconscio e con gli aspetti negativi della psiche. Queste figure smembrano la sciamana e la riassemblano (un susseguirsi di morte dell’ego e rinascita spirituale). Il viaggio è una sorta di morte. La sciamana ha integrato la propria conoscenza della realtà separata nelle sue normali facoltà percettive, incorporando una visione più ampia.
La guarigione prevede il risanamento del potere, della forza vitale o dell’anima. Anzitutto, la sciamana stabilisce se uno spirito o una forma di energia “estranei” sono entrati per un “foro” o una “falla” nell’energia della persona e poi estirpa o rimuove questa energia o spirito nocivo in un contesto rituale – strappandoli con la mano o risucchiandoli dal corpo con la sua stessa bocca e poi sputandoli nell’acqua o insufflandoli in un feticcio che in seguito verrà sepolto, bruciato o distrutto in altro modo. Poi, viaggia nel mondo dello spirito per riportare con sé alcuni oggetti che contengono forza vitale e ne soffia l’essenza nel paziente oppure glieli presenta in una qualche forma simbolica, come uno spirito soccorritore, dicendo di onorarlo e servirsene per proteggersi. O può viaggiare nel mondo dello spirito per dare la caccia all’anima o alla parte dell’anima perduta, riportandola indietro e risoffiandola nel corpo del paziente.
Il corpo sognante
Carlos Castaneda (e Arnold Mindell dopo di lui) adopera il termine “corpo di sogno” per descrivere un senso del sé congiunto allo spazio, al tempo o alla società. Il corpo che immagina – o quel che io chiamo il “corpo nepantla” – può essere percepito durante gli stati sciamanici oppure ogni volta che distogli l’attenzione dal quotidiano per rivolgerla a un’affezione, una fantasia o una finzione. La realtà quotidiana “scompare” o è momentaneamente sospesa. Perché passare a questo corpo di sogno? La psicologia occidentale spiegherebbe che lo scopo è dirimere un problema: non farai che incappare in certi problemi o questioni e ripetere determinati comportamenti, sino a che non li affronterai e risolverai. Ma secondo una concezione indigena antica, quando ti imbatti in un problema uno spirito è entrato in te e sta influenzando la tua mente. Se applichiamo tale concetto ai problemi di oggigiorno, potremmo dire che le coazioni, le ossessioni e le reiterazioni negative sono forme di “spiriti” che ci inducono ad abbandonare la realtà quotidiana. Gli eventi insoliti stravolgono la concezione che hai di te. Dare ascolto a ciò che ti circonda (come il don Juan di Castaneda) e prendere sul serio gli eventi insoliti (la malattia, una quasi-morte, i periodi di semi-pazzia, i sogni di figure di spiriti saggi, gli incontri con i fantasmi, le guarigioni improvvise, i risvegli spirituali e altri accadimenti paranormali) ti avvicina ai tuoi miti personali (secondo Mindell). Prestare una profonda attenzione agli eventi irrazionali, ai messaggi di ciò che ci circonda, ai sogni, alle fantasie e ad altri processi dell’immaginazione è un tentativo di comprendere, di giungere alla consapevolezza.
Siamo capaci di “vedere” quando cambiamo approccio dal percettivo all’immaginale, da ciò che Castaneda chiama la prima attenzione (il mondo della realtà quotidiana ordinaria) alla seconda attenzione (l’altra realtà). Quando spostiamo l’attenzione attiviamo il “sognare”… il “vedere” dalla sponda opposta, guardando all’ego come all’altro e agli elementi familiari da questa prospettiva aliena. Sognare è il viaggio del nagual.
Ensueños: interazioni volontarie con le realtà immaginali
Ogni giorno, accoccolata nel letto prima di addormentarmi o dopo il risveglio, mi intrattengo in precisi luoghi immaginali. Si dipanano delle “storie” in questi mondi interiori – alcuni li costruisco consciamente o li creo con la volontà; altri affiorano dalle immagini che non originano in me e le cui storie “osservo” come farei con un film creato da un’altra persona. Chiamo queste “fantasie” “ensueños”. In simili immaginazioni elaboro i sentimenti, i traumi, le negatività frutto delle oppressioni di genere, razziali o di altro tipo, e piango le mie perdite. Queste storie – sia quelle create da me sia quelle create per me da qualcosa che mi è esteriore (anima, spirito, la coscienza dell’universo) – mi nutrono, mi guariscono in modi che non comprendo del tutto. Estos ensueños hanno una funzione guaritrice.
Adopero la parola “ensueño” in diverse accezioni: come illusione e fantasia; come un sueño que se hace realidad, un sogno che diventa realtà; come un modo per creare ponti tra la realtà del sogno e la realtà del non-sogno, e come un tipo di sogno lucido in cui si è nella piena consapevolezza (o forse persino in controllo) del processo del sognare. In gergo è un complimento dire “eres un ensueño, ovvero, una persona mágica”. “Es un ensueño” può anche esser detto dei viajes o lugares maraviosos. Una sorta di fantasia creativa, gli ensueños non sono che un’altra realtà. La realtà della mente raziocinante non è superiore a quella dell’immaginazione. Mi interessa il luogo/spazio (nepantla) in cui le realtà interagiscono e avvengono slittamenti immaginativi. Alcune immagini stimolano il cambiamento, altre trasformano le visioni che abitano la psiche di una persona, alterando le storie che vi vivono dentro invece di tentare di “aggiustare” chi “ospita” simili immagini.
Il processo creativo è un agente di trasformazione. Servirsi di tale processo per guarire o riorganizzare le immagini/storie che plasmano la coscienza di un individuo è un modo più efficace di curare. Quando permetti alle immagini di parlarti in prima persona invece di circoscriverle alla terza (le cose di cui parli), prende vita un dialogo – anziché un monologo. I sogni, pure, sono una forma di esperienza, una dimensione in cui vita e mente sembrano inglobarsi. La realtà del sogno è un continuum parallelo. Mentre la sciamana accede a questo continuum con allucinogeni e altre tecniche, il resto di noi vi accede mediante i sogni.
Gli incontri letterali, gli avvenimenti traumatici – arrebatamientos come la malattia, la perdita, la depressione, gli sconvolgimenti, gli infortuni e così via – possono fungere da processi iniziatici. Provocano riflessioni immaginali del tipo proposto dalla “psicologia immaginale” o archetipica post-junghiana, di cui il fulcro, quando vi interagiamo consciamente, sono l’immaginazione (la facoltà crea-immagini della psiche, il potere di dar vita a narrazioni o storie) e l’“immaginare attivo” (un dialogo interattivo con le realtà immaginali). Jung propone il seguente processo: comincia con qualsiasi immagine, contemplala, osserva attentamente come la visione comincia a dispiegarsi. Non forzarla; osserva soltanto, e prima o poi la visione muterà grazie a un’associazione spontanea che causa una lieve alterazione. Accorgiti di tutti questi cambiamenti. Entra tu stessa nella visione. Se è una figura parlante, parlale e ascolta quel che ha da dire. Così, alteri il tuo stato di coscienza in ciò che Robert Bosnak chiama una coscienza di immagine.
Questa interazione intenzionale è simile alla fantasia volontaria e attiva della scrittura narrativa. Senza alcun controllo parziale da parte di chi sogna/scrive, la personalità conscia e quella inconscia dell’artista si unificano per creare l’arte prodotta. La scrittrice registra il dialogo tra queste immagini interiori e il proprio ego. Potremmo dire che la scrittrice, mediante la sua partecipazione interattiva, si fonde coi processi consci/inconsci ed entra in possesso dei propri personaggi permettendo loro di possederla. L’immaginazione è una creatività attiva, deliberata.
Identità immaginali e immaginazione
L’“io” non è che uno dei molti elementi, una delle molte figure immaginali che compongono una psiche. Altre figure immaginali vagano dentro e fuori, all’interno e all’esterno di una persona, tutte con vite proprie. “Io” non sono a capo delle “mie” immagini. Le immagini hanno una loro esistenza e gironzolano come vogliono, non come voglio “io”. Né sono “io” a crearle; affiorano dalla mia psiche personale. Tutte posseggono un corpo ed esistono in spazi tridimensionali. Sebbene le attuali teorie identitarie trascurino la nostra identità spirituale più profonda, ciò che mi interessa è la membrana connettiva tra l’interiorità e l’esteriorità del soggetto.
La capacità di dar vita in modo spontaneo a delle immagini mentali è ciò che si intende per immaginazione. L’immaginazione è il regno dell’anima, e il linguaggio della psiche è metaforico. Le figure e i paesaggi dell’immaginale vengono esperiti come vivi e indipendenti da chi sogna. Parlano con voce propria, si muovono a loro piacimento. Posseggono un’intelligenza e un sapere interiore. Da bambina dipendevo da questa “intelligenza immaginale” per avere lumi, compagnia e conforto. L’immaginazione mi permette di usare l’intuizione, di capire cosa fare mediante le immagini. L’immaginazione è la mia musa bruja. Le immagini sono un varco per el cenote, il luogo in cui prendono corpo e vita. Mi sembra di stare osservando da un velo un mondo mai visto prima ma d’un tratto pullulante di senso. Le immagini diventano mie compagne. A volte le loro visite sono subitanee e sorprendenti. Ricordo il serpente attorcigliato grande quanto la mia stanza. Le figure mi “vedono”, non sono la sola a “vederle”. Sueños y ensueños se pueden definer come encuentros con un “doble”, l’io sognante.
Figure interiori nella psiche versus la realtà degli spiriti
È reale l’idea della chamanería o è il frutto dell’immaginazione e quindi della fantasia, non della realtà? Quando “viaggia”, una chamana si aggira esteriormente sulla terra nel proprio corpo, oppure si aggira interiormente in uno stato alterato di coscienza dove esperisce realtà al di fuori della normale percezione? Simili domande continuano a far capolino, ma la loro cornice è troppo angusta. Per esplorarle, dobbiamo ridefinire l’immaginazione non come una nonrealtà marginale e neppure come uno stato alterato ma, piuttosto, come un altro tipo di realtà.
Nel giudicare “inventate” le storie delle realtà non letterali quali i voli delle sciamane verso altri mondi, la nostra società occidentale inficia i significati e la guarigione che esse offrono. I sogni sono reali? Rappresentano una realtà separata? Siamo noi a crearli, o è qualcosa di esterno a noi a causarli e orchestrarli? È reale la realtà nonordinaria dell’immaginazione? Ha importanza se il viaggio affiora da un sogno a occhi aperti, dalle rappresentazioni simboliche dell’inconscio o da un mondo nonordinario parallelo? Fintanto che le informazioni (che siano metaforiche o letterali) ottenute in un viaggio sciamanico danno adito a cambiamenti positivi nella vita di una persona, non conta. Dobbiamo evitare i tranelli del letteralismo. Gli spiriti sono presenti letteralmente o sono presenti immaginativamente? Entrambe le cose. La fantasia non è soltanto un modo per affrontare, correggere o integrare la realtà. Un sogno/una fantasia ti libera dai confini del tempo e dello spazio quotidiani, dalla tua identità abituale. La scienza nega una realtà alla fantasia perché le credenze scientifiche ritengono reale solo il letterale. Ma stando a Jung, né la realtà letterale del mondo conscio né la realtà nonletterale del mondo inconscio sono del tutto reali.
Dato che viviamo in un contesto moderno occidentale, i bisogni spirituali e la credenza negli spiriti sono grossolanamente equiparati ai bisogni psicologici, un miscuglio di chamanerías e psicoterapia. La nozione secondo cui gli dèi sono forze e potenze interne alla mente umana e gli esseri umani posseggono, al livello più profondo della mente, personificazioni delle grandi esperienze archetipiche è la teoria corrente – più “razionale” della convinzione secondo cui gli spiriti sono reali. Sebbene gli spiriti immaginali siano tanto “reali” (in senso diverso) quanto gli spiriti “reali”, a simili spiriti e all’esperienza che ne fanno le persone indigene viene negata una realtà propria. Per gli psicologi le parti scisse si perdono in una regione indistinta chiamata inconscio, mentre per le sciamane le parti dell’anima vivono un’esistenza parallela nei mondi nonordinari.
Alcuni antropologi definiscono gli spiriti metafore e simboli, ritenendoli nient’altro che immagini mentali. Ma come nota la loro collega Edith Turner, quest’idea è “imperialismo intellettuale”. Stando a Turner, gli spiriti sono “manifestazioni [che] costituiscono l’apparizione deliberata di forme discernibili che hanno il consapevole intento di comunicare, di rivendicare un’importanza nelle nostre vite”. Mary Watkins (una psicologa dello sviluppo junghiana) vede i suoi “immaginali” come esseri coscienti dotati di autodeterminazione, di autonomia, e afferma che qualcosa d’Altro è in noi: “Esiste un’altra forza che influenza i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri movimenti e le nostre azioni. Non si può più dire che è un dio o uno spirito, eppure si hanno quegli antichi sentori di essere possedute e mosse da una forza che non risponde alla logica o al tempo e allo spazio consueti”.
Spiritualità: la connessione tra diverse forme di coscienza & realtà
La spiritualità è una credenza ontologica nell’esistenza di cose esteriori al corpo (esosomatiche), opposta alla credenza che la realtà materiale sia una proiezione di immagini create mentalmente. La risposta alla domanda “quando un albero cade nella foresta, produce un suono se nessuna persona è lì ad ascoltarlo?” è sì. La spiritualità è un sistema simbolico, una filosofia, una visione del mondo, una prospettiva e una percezione. La spiritualità è una diversa tipologia e modalità di conoscenza. Mira a espandere la percezione; a raggiungere la coscienza, anche nel sonno; a giungere alla consapevolezza delle interconnessioni tra tutte le cose acquisendo una prospettiva totale. Esiste una sorgente di realtà, e da questa emanano sia i mondi fisici che nonfisici, formando una realtà secondaria. Quando intravedi questa realtà primaria invisibile e comprendi di esservi connessa, i sentimenti di alienazione e rassegnazione svaniscono. Fare i conti con lo spirito significa entrare in armonia con il mondo dentro e attorno a te. Ciascuna trova la propria strada per lo spirito attraverso le ferite, attraverso la natura, attraverso la lettura, attraverso le azioni, attraverso la scoperta di nuovi approcci ai problemi.
Mediante la spiritualità cerchiamo un equilibrio e un’armonia con ciò che ci circonda. Secondo la credenza indigena, siamo inglobate ed esistiamo in reciprocità con la natura. Siamo legate a questo pianeta in modi che neppure immaginiamo. Collaboriamo con la terra, ma questa collaborazione deve dispiegarsi in entrambe le direzioni; dobbiamo dar prova di fiducia, amore, rispetto e reciprocità perché questo legame funzioni. Anelito e bisogno umano essenziale di assistere al flusso della vita e alle trame (incluse le trame individuali) che in essa si manifestano, lo spirituale consiste in un profondo senso di appartenenza e partecipazione alla vita. Lo spirito rappresenta la gioia di vivere – la forza esistenziale vivificante. È la voce interiore, la scarica elettrica che dice “Voglio farlo. Lo farò”.
Ma costrette a sentirci in imbarazzo perché ce ne serviamo, portiamo il peso delle connotazioni negative che il lessico spirituale reca con sé. Gli accademici squalificano la spiritualità tranne che negli studi antropologici svolti da osservatori esterni e la spiritualità cessa completamente di essere fonte di interesse per quelle persone che la sentono associare, come fa la cosiddetta New Age, a un linguaggio sconclusionato e a sentimenti à la “Pollyanna”, sconnessi dalle realtà concrete delle vite e delle lotte della gente. E non c’è da stupirsi. Molte e molti di quelli che oggi praticano la spiritualità in questo paese ne ignorano le implicazioni politiche e non si preoccupano del nostro problema e della nostra sfida più grandi: il razzismo e altri abusi razziali. Non gli importa della violenza contro donne e bambini, della povertà e degli assalti alla natura. Definisco la postura militante che esplora le implicazioni sociali della spiritualità “attivismo spirituale” – un attivismo cui si dedica un gruppo eterogeneo di persone dalle molteplici pratiche, o mestizajes, spirituali.
L’artista come chamana
L’artista si serve dell’immaginazione per imporre ordine al caos. Dà alla confessione psichica forma e direzione, offre un linguaggio alle persone turbate e confuse – un linguaggio che esprime stati psichici prima inesprimibili e permette a chi legge di attraversare in forma ordinata e intellegibile esperienze reali che altrimenti sarebbero caotiche e indicibili. Tanto per la chamana quanto per l’artista questo viaggio interiore è un viaggio di subbuglio e angoscia. Nel riferire dettagli psichici intensi mediante un linguaggio transpersonale, la psiche si organizza e conferisce senso e direzione alla sofferenza umana. Attraverso l’espressione creativa l’esperienza umana viene mitologizzata e collettivamente compresa.
I meccanismi inconsci della mente giocano un ruolo enorme sia nella lettura sia nella creazione di un’opera d’arte. Dopo aver ricevuto/sognato l’ispirazione iniziale (che esiste come visione interiore), l’opera pretende di venire alla luce durante alcuni periodi di incubazione. Una coscienza o consapevolezza amplificata che io chiamo “conocimiento” e alcune chiamano “amore” (che potrebbero essere la stessa cosa) scuote l’artista all’azione, la catapulta nell’atto del creare. Questo conocimiento inaugura il rapporto tra la conoscenza di sé e il lavoro creativo. Dato che deve sorvegliare le proprie reazioni interiori, l’artista diventa più consapevole, più viva, e così “fa” la storia di se stessa mentre fa la sua arte. Questa auto-creazione permane nel corso di una serie di dislocazioni traumatiche e viene registrata in parole e immagini – ovvero, col linguaggio. Mediante il suo métier, la sua arte, l’artista ricorda la propria storia personale e “scorda” se stessa e il suo mondo. Un buon racconto o un’altra creazione la porta fuori da sé, permettendole di “dimenticarsi”. Il paradosso della lettura, del fare arte e del fare il sé è che l’artista deve al contempo ricordare e scordare il sé e il mondo. Le storie in cui crede forgiano la sua percezione della realtà. La creazione è davvero una rilettura e una riscrittura della realtà – un riassetto o riordino di elementi preesistenti.
Un simile processo creativo assume svariate forme. Nel racconto prometeico occidentale l’artista agisce in modo autonomo e spesso contro il dio creatore. Gli sottrae il potere della creatività e crea a partire dal suo stesso ego o dai suoi stessi vincoli. In altri racconti, l’artista si arrende al processo, all’urgenza creativa – in altre parole, a dio – e permette che la storia/l’opera d’arte venga incanalata attraverso di lei. Una ricettività vigile e attiva, un’apertura all’attimo quando ha sfruttato tutto, ogni idea ed emozione – si arrende. Ed è allora che qualcosa di inedito può forse affiorare e lei non fa che seguirlo, invece di controllarlo.
La creatività è un impulso liberatorio, un’attività che trasforma materia ed energia. Scaturisce dallo slancio a servirti delle facoltà della tua mente, del tuo corpo, della tua anima e di altre risorse interiori in modo collaborativo, per creare. Il processo creativo pretende la riconciliazione di impulsi e idee confliggenti; evoca il conocimiento, una maggior consapevolezza e coscienza che ti conduce a una connessione più profonda con te stessa e i tuoi materiali. Quando l’arte funziona come una disciplina spirituale, il fare della mente e del corpo confluiscono in atti di immaginazione. Nel desiderare la pienezza dell’espressione le artiste cercano un’interezza interiore.
Nel forgiare opere il processo creativo dell’artista porta il processo inconscio dell’immaginazione sulla pagina/tela. I libri e altre forme d’arte ci iniziano all’immaginazione e spesso agli stati sciamanici della coscienza. Mentre scriviamo o leggiamo avvengono immaginazioni sciamaniche. Questi “voli” controllati ci addentrano in una sorta di “sognare” simile al processo del sogno o della fantasia, simile al viaggiare dei voli magici della sciamana. L’artista risveglia e attiva il processo immaginativo in chi legge o in chi osserva, impoterandola.
Crei l’anima quando crei arte, un concetto del poeta romantico John Keats che ha coniato la parola “fare-anima” e proveniente anche dalla tradizione spirituale indigena messicana del plasmare un volto, del plasmare l’anima. La mia naguala/il mio dáimōn è il mio rapporto con il mio stesso potere attivo, creativo.
Lo scopo di una buona scrittura è ridurre la distanza tra chi legge, chi scrive e il testo senza “dissolvere” nessuno di questi attori. È coinvolgere quanto più possibile chi legge nell’opera senza farle dimenticare che è un’opera d’arte persino quando vi interagisce come se fosse una realtà. Nel creare un’identificazione o un’empatia tra fruitrice e personaggio e offrendo un’immediatezza nelle scene e negli avvenimenti del racconto, chi scrive permette a chi legge di creare unità estemporanee e immaginare/proiettare possibili insiemi a partire da determinati frammenti. Tanto il leggere quanto lo scrivere sono ensueños, interazioni volontarie. Forse, come afferma il poeta Stanley Plumly, l’immaginazione è la vera realtà, l’arbitro ultimo.
Riesaminare le nozioni della realtà. Quanto reale è la realtà?
Versioni dell’ir/realtà: è la percezione a determinare l’esperienza, o è l’esperienza a determinare la percezione? Cosa viene prima: l’esperienza o l’ideologia il cui telaio è il linguaggio? È l’esperienza/vita a creare la realtà, o è il linguaggio/ideologia che interpreta l’esperienza e dunque crea la realtà? Il mondo è già costruito (dal consenso degli esseri umani) quando vi fai il tuo ingresso. Puoi ricostruirlo e ricostruire la tua vita, consciamente o inconsciamente, con conocimiento o con desconocimiento, ma devi sempre mediare e negoziare la tua posizione tra e con le tue culture. Ciò che ricostruisci può essere del tutto interno ai vincoli e ai dettami della tua cultura e delle tue culture. Oppure una cultura può contraddire gli assunti di un’altra, o le tue ricostruzioni possono essere in parte al di fuori dei vincoli sociali. Dato che le tue ricostruzioni sono sempre in divenire, mondo, società e cultura sono sempre in stati di composizione/decomposizione.
La visione dominante del mondo occidentale afferma che una realtà “oggettiva” esteriore esiste indipendentemente dal soggetto che conosce, una realtà che la scienza può descrivere con accuratezza. Sebbene tale visione riconosca l’individualità come fonte di “credenze errate”, sostiene che tali credenze possano essere superate collettivamente mediante la scrupolosa applicazione del metodo scientifico. Il quadro della realtà così ottenuto si approssimerà meglio a ciò che c’è nel concreto “là fuori”.
Per chi segue il Tao tutte le realtà sono proiezioni della nostra mente, e noi non smettiamo di creare drammi stimolanti. Credo nella seconda affermazione, ma non nella prima. Il mondo esteriore esiste sul serio oltre le nostre piccole menti individuali e collettive, e noi in quanto entità di carne e ossa dobbiamo partecipare appieno a quel mondo. Forse esiste una coscienza universale che abbraccia quella di ogni forma di vita, compresi gli ecosistemi, i pianeti e le galassie, i batteri e tutta la materia. Chi scrive lotta per catturare una vita elusiva con l’immaginazione, ma la realtà è troppo grande per poter essere contenuta in un qualsiasi sistema ideologico e il realismo letterale è troppo piccolo per contenerla. Per indagare l’esperienza in un mondo indeterminato come quello che abitiamo, un mondo in cui tutto ciò che può essere immaginato può accadere, ho bisogno di una diversa modalità di raccontare storie, una modalità che possa reggere simultaneamente i differenti modelli di ciò che io credo sia la realtà. Ho bisogno di un diverso modo di organizzare la realtà.
Decolonizzare la realtà
La conoscenza è relativa, e la realtà è un componimento. Ricostruisci te stessa e, in minor misura, la tua cultura, la tua società e il tuo mondo con le scelte che compi. Le tue scelte sono forse consce ma più spesso, probabilmente, sono almeno per metà inconsce, a seconda di quale parte o parti della tua personalità le adotta. Di fatto, quando prendi una decisione tutto si riduce alla consapevolezza – consapevolezza di te stessa, delle tue azioni, delle azioni altrui e del mondo. L’istruzione ufficiale promuove alcuni aspetti della consapevolezza e offre accesso a determinati tipi di conoscenza. Decolonizzare la realtà consiste nel disimparare la “realtà” consensuale, nel vedere al di là dei suoi ruoli e delle sue descrizioni grazie a ciò che don Juan chiama gli atti del non-fare.
Per cambiare o reinventare la realtà attivi la facultad della tua immaginazione. Devi interrompere o sospendere l’“io” conscio che ti ricorda la tua storia e le tue convinzioni perché simili memorie ti vincolano a una data nozione della realtà e del comportamento. Allora introduci l’idea con le immagini della nuova realtà che la accompagnano. Per inventare questa nuova realtà coltivi una realtà fittizia e agisci come se fossi già in quella realtà fittizia. Alla fine quella realtà diventa la realtà reale, almeno sino a quando non la cambi di nuovo.
L’immaginazione apre la strada al cambiamento sia personale sia sociale – la trasformazione del sé, della coscienza, della comunità, della cultura, della società. Possediamo molteplici tipi di immaginazione, ciascuno dotato di processi simili eppure diversi: un processo d’immaginazione politico, un processo d’immaginazione spirituale e un processo d’immaginazione estetico. Senza immaginazione la trasformazione non sarebbe possibile. Senza la creatività, “altre” epistemologie – quelle del corpo, dei sogni, delle intuizioni e dei sensi al di là dei cinque sensi fisici – non toccherebbero la coscienza.
Proposta per una nuova prospettiva
Propongo una nuova prospettiva sull’immaginazione e un nuovo rapporto con l’immaginazione, con la guarigione e con la spiritualità sciamanica. L’arte, la lettura e la scrittura sono pratiche crea-immagini che plasmano e trasformano ciò che siamo in grado di immaginare e percepire. Nell’onorare il processo creativo, gli atti della scrittura e della lettura, e l’arte della frontiera, mi servo di figure culturali per intaccare, cambiare e quindi guarire le ferite del colonialismo. Mi addentro nella mia stessa eredità mitologica e nelle mie stesse tradizioni spirituali, come il curanderismo e il nagualismo tolteco, e le connetto alla spiritualità, all’attivismo spirituale, alla coscienza mestiza e al ruolo del nepantla e delle nepantleras. Attuo un mestizaje spirituale – la consapevolezza che siamo tutte in un cammino spirituale e condividiamo il desiderio che la società subisca una metamorfosi e un’evoluzione, che le nostre relazioni e i nostri progetti creativi subiscano delle trasformazioni.