La tecnologia nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza di genere
Lunedi 21 ottobre online
Dedicato alle operatrici dei centri antiviolenza
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Barbara Leda Kenny intervista Lavinia Hanay Raja del gruppo Ippolita per la rivista Ingenere.it
Qual è secondo te il nesso più pericoloso fra tecnologie e violenza contro le donne?
I nessi fra queste due aree sono molti, ma per fare un’analisi completa occorre avere ben chiare almeno tre caratteristiche strutturali delle tecnologie digitali per come sono stata concepita: la sorveglianza, la cultura del rischio e la gamificazione. Questi elementi relativi ai modelli di business vengono implementati nel design commerciale, creando forme di violenza sistemica contro le donne e tutti i soggetti già inferiorizzati dalla cultura patriarcale. Gli strumenti tecnologici attualmente più usati si basano sulla sorveglianza e avvantaggiano le applicazioni dedicate al controllo diffuso: domestico, parentale, di coppia, di quartiere, eccetera. In questo modo viene promossa nella società, già fortemente securizzata, una vera e propria cultura del controllo, che si accompagna sempre più spesso a una retorica della cura come presa in carico morale della società.
Perché oggi è così importante rendere visibile questo legame?
Shoshana Zuboff ha definito l’attuale capitalismo tecnologico come “capitalismo della sorveglianza”, una logica estrattivista basata sul monopolio di un gruppo ristretto di aziende focalizzate sull’accumulo smodato di capitale e in costante crescita. La violenza digitale contro le donne si sviluppa dunque in un contesto favorevole, sia per l’ampiezza dell’offerta commerciale di app di sorveglianza, che per via del fatto che il controllo non viene riconosciuto come coercitivo, ma è normalizzato dalle pratiche tecnologiche quotidiane.
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