Faccia da puttana

Un estratto dal volume di Maria Galindo. Femminismo bastardo Mimesis 2024, Collana Selene curata dal gruppo di ricerca Ippolita. Traduzione di Roberta Granelli

Ho sempre ripudiato la posizione del parlare in nome di “una terza persona”, perché è un atto di silenziamento; sia che questa terza persona sia una delle sex workers, una delle indigene, una delle proletarie, una delle trans, una delle frocie. La lista è infinita; è una pratica della sinistra intellettuale, di una parte del femminismo accademico ma anche del “popolare”, parlare a nome di chi viene dal basso. Il risultato del parlare in nome di un’altra persona diventa un atto usurpatorio, un atto che implica falsità e spesso, addirittura, un atto di semplificazione.

Non mi colloco dinnanzi alla questione gigante del sex work, prostituzione, situazione di prostituzione ecc. come portavoce né rappresentante di nessunx. Non parlo a nome delle mie compagne e credo che se c’è qualcosa di importante e politico, in questo tema come in ogni altro, è la parola in prima persona. Lesbiche, indias, lavoratrici domestiche, sex workers, trans e altre abbiamo costruito le nostre proprie voci lungo tutto il cammino di enunciazione che è oltremodo romanzesco e fecondo; cammino di enunciazione che ha un ciclo infinito che si può aprire ma che non si può né si deve chiudere. Ognuno di questi processi di enunciazione ha provocato un arricchimento dei dibattiti e dei linguaggi di lotta come anche l’invenzione di nuove parole e di nuovi spazi.

Propongo quindi di assistere a ogni discussione dalla prima persona, posizione che eticamente ci obbliga a esplicitare quel luogo da dove parliamo, riconoscendo le limitazioni e la portata della voce singolare.

Ho la faccia da puttana. La parola puttana è apparsa nella mia vita, come nella vita delle donne, durante la prima infanzia ed è esistenziale. Il mio comportamento sessuale, come quello di milioni di donne, è stato valutato come quello di “una puttana”. Non ho mai esercitato il sex work ma molte volte non lo avrei scartato come opzione di sussistenza.

Parlo del sex work e della condizione della puttana come propiziatoria di uno spazio che considero imprescindibile per i femminismi, uno spazio di alleanze insolite 13 all’interno del quale la sex worker è, come molte volte ho specificato, “anfitriona del cambiamento sociale, ovvero, figura centrale”. Senza lavoratrici sessuali non c’è femminismo. Non sto parlando di una forma di inclusione “caritatevole”, per “salvarle”, ma tutto il contrario: lei, la puttana, dirige l’asta che rimuove sessualità, rompe miti, diluisce strutture di ogni donna e per questo è un soggetto imprescindibile.

Abolizionismo vs Regolamentazione

Sembrerebbe che all’interno di molti scenari femministi la discussione tra la lotta per abolire la prostituzione o regolarla sia eterna e irriconciliabile o, peggio ancora, sembrerebbe che esistano solamente queste due possibilità rispetto al sex work.
Le accuse reciproche non chiariscono né portano il dibattito ad avanzare, rappresentano invece scontri che rimangono in stallo da decadi. Si intensificano ogni volta che appaiono finanziatori dietro una delle posizioni, posizioni che non accettano, tra l’altro, alcun argomento nuovo: o ne sottoscrivi una o taci.
È di troppo sottolineare che questa è un’altra delle discussioni installate nei femminismi di questa parte del mondo attraverso una visione eurocentrica e nordamericana; il dibattito
è arrivato in aereo con argomenti già preconfezionati e autrici che lo avevano canonizzato in precedenza.

Entrambe le posizioni, che si satanizzano reciprocamente, configurano un quadro binario dicotomico all’interno del quale ho deciso di non collocarmi. Non mi ascrivo a nessuna di queste posizioni; non l’ho mai fatto e per permetterci di pensare la realtà e avanzare è assolutamente necessario collocarsi fuori da questo binarismo semplificatore che ha finito per situare la questione del sex work su un asse morale e non politico. Entrambe le posizioni sfruttano la vittimizzazione dellx sex worker attraverso due significati diversi, ma ugualmente tossici.

Gioco con la scorrettezza di usare le parole puttana, sex work e prostituzione indistintamente. La parola puttana è imprescindibile e ci costituisce, racchiude dal sex work fino alla libertà sessuale; anche le parole sex work e lavoro sessuale sono imprescindibili perché ci obbligano a situare la prostituzione nell’analisi storica dei lavori delle donne e la parola prostituzione o situazione di prostituzione risulta anch’essa imprescindibile perché ci riporta alla situazione patriarcale statale, sociale e culturale.

La negazione dei saperi della “puttana”

C’è una continuità fondante tra puttana e non puttana e, allo stesso tempo, un universo di saperi propri del sex work che sono pesantemente negati.
Come in ogni attività di sussistenza, in questo lavoro si sviluppa un insieme di saperi: la cuoca, la panettiera, la pescatrice, la venditrice ambulante, tutte hanno sviluppato saperi propri del loro lavoro, anche la sex worker lo fa. Il mestiere non è semplicemente farsi pagare per del sesso.
La pericolosità dei suoi saperi, l’importanza dei suoi saperi, il luogo che essi occupano in relazione all’universo maschile è esattamente ciò che non si vuole discutere quando si parla del sex work. I saperi della sex worker hanno un carattere esplosivo.
Propongo tre elementi (potrebbero essere 10 o 25) i quali fanno diventare la sex worker una anfitriona del cambiamento sociale e una protagonista centrale della messa in discussione
della norma patriarcale rispetto al corpo e alla sessualità:
1. “Un pene, qualsiasi pene è sempre una miniatura”, è un graffito la cui autrice è una sex worker. Lei accumula, più che ogni altra donna, più della moglie e più dell’amante, una quantità di saperi sull’affettività, la sessualità, il corpo, i dolori e i complessi del maschio.
Una sex worker che vende un appuntamento di dieci minuti, che includa un’erezione e un’eiaculazione, sa classificare i suoi clienti, stimolare i suoi clienti e contenerli in dieci minuti. Contemporaneamente riceve un mandato, che è quello di tenere per sé, come un segreto, questi saperi; la sovversione è rompere questo segreto.
2. Se, come dice Rita Segato, c’è una “guerra contro le donne”, qual è il luogo che la “puttana” sta occupando in questa guerra? Se non vogliamo usare questa categoria di Rita, ma evidenziamo un dispiegamento di violenze machiste contro le donne, possiamo affermare che in questo dispiegamento le sex workers sono quelle che funzionano come diga, una parete di primo impatto di tali violenze, il luogo dove queste violenze si presentano come legittime. Di queste esperienze di violenza e del modo di affrontarle, evitarle e prevenirle, la sex worker è la maggior maestra. Le vede arrivare, le scruta negli occhi del suo interlocutore e ne sente l’odore. La sovversione è rivelare ciò che sa…
3. Il sex work è antico quanto la Bibbia, data questa antichità ottiene nel tempo la stessa densità storica che il lavoro delle curanderas 16 o delle agricoltrici, la differenza è che questo sapere accumulato è stato screditato e privato di ogni dignità.
Mentre un qualsiasi prostituente ha il coraggio di ricordare a qualsiasi donna l’antichità di questo mestiere, noi donne ci neghiamo di utilizzare la sua antichità come dato fondamentale del valore dei saperi della “puttana”. Nelle culture precoloniali, come per esempio nella cultura inca, si chiamavano pampayruna 17 . L’antichità del mestiere implica la necessità urgente di comprendere il sex work come un filo conduttore della stessa storia delle donne. La sovversione è ricostruire le nostre storie collettive partendo dal posto occupato dalla puttana nelle nostre culture e nelle nostre società. I popoli indigeni nella zona andina si negano di riconoscere l’esistenza precoloniale della prostituzione. Questa storia è un asse fondamentale per la comprensione di tutte le forme di interscambio di donne all’interno delle stesse popolazioni indigene e per comprendere il posto delle donne nel processo di conquista e dominazione così come la stratificazione contemporanea coloniale delle donne del sud del mondo.

Continua la lettura di Galindo sul tema del lavoro sessuale sul volume Femminismo Bastardo, Mimesis edizioni.