Perché parliamo di critica tecnopolitica? Dal cyberfemminismo di Sadie Plant alla lotta contro il Capitalismo del controllo
Mercoledi 13 aprile h 14.00
NABA NUOVA ACCADEMIA DI BELLE ARTI Milano
Prima conferenza primaverile del Gruppo Ippolita. Per informazioni e partecipazione mandare una mail con oggetto “Conferenze Naba”
L’incontro prenderà in esame i segueti volumi:
Sadie Plant, Zero, uno. Donne digitali e tecnocultura Luiss University Press
Ippolita, Tecnologie del Dominio, Meltemi editore
Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press
CYBERFEMMINISMO E CONTROCULTURA è un saggio del gruppo Ippolita che introduce l’edizione italiana del volume di Sadie Plant Zero, uno edito da Luiss University press nel 2021
Un attacco incendiario alle illusioni umane di immunità e integrità
Quando Sadie Plant nel 1997 dà vita a Zero, Uno. Donne digitali e tecnocultura l’oligopolio dei GAFAM non è nemmeno all’orizzonte. La Rete era un proliferare di esperienze disordinate, il web era appena nato e nessuno sembrava porsi l’idea che il suo disciplinamento tecnico avrebbe coinciso con un regime mondiale di disciplinamento e gestione produttiva della biodiversità umana. Per descrivere i cambiamenti tecnologici si guardava a Millepiani di Deleuze e Guattari, più che a Sorvegliare e Punire di Michel Foucault. Solo la biologa Donna Haraway, amata e molto citata in questo volume di Sadie Plant, con la sua teoria cyborg preannunciava l’informatica del dominio, ma al contempo ci proponeva un soggetto ibrido capace di collegare animali, macchine, piante, umane in senso ecologico e femminista.
Era l’epoca d’oro del cyberpunk e il cyberfemminismo rappresentava un nuovo modo del femminismo che andava oltre la teoria della differenza sessuale: “un attacco incendiario alla illusioni umane di immunità e integrità. La vita intelligente non può più essere monopolizzata. E lungi dallo scomparire nell’immaterialità, il corpo si complica, si replica, sfugge all’organizzazione normale […] questa malleabilità è dappertutto: nei passaggi di stato della transessualità, nelle perforazioni di tatuaggi e piercing, nei marchi indelebili delle scarificazioni, nella vita batterica, nelle protesi, negli sciami di matrici vaganti”.
Il cyberfemminismo ha avuto a che fare più con l’arte che con la tecnica in senso stretto. Le sue esponenti principali sono state teoriche e artiste anche molto diverse le une dalla altre, citiamone solo alcune per dare un’idea dell’estensione disciplinare del movimento: le australiane VNS Matrix “il clitoride è una linea diretta per la matrice” ispirate direttamente dalla Haraway; la francese Orlan che si è dedicata interamente alla bodyart, la scrittrice di romanzi cyberpunk Pat Cadigan; qualcuna annovera tra le prime anche la cantante Diamanda Galas, e noi siamo d’accordo. La cultura hacker da cui veniamo sostiene che è possibile fare hacking con qualsiasi cosa, non necessariamente con le macchine e i codici informatici, il punto è decostruire e ricostruire un oggetto cambiando le regole con cui era stato progettato, cioè fargli fare qualcosa di completamente diverso e inaspettato. In questo senso un esempio straordinario di hacking è proprio il lavoro di Diamanda Galas che usa la sua voce come un sintetizzatore in grado di controllare con precisione le onde sonore.
Continua la lettura su NOT