Tutto quello che NON c’è da sapere sulla app “Immuni”
Intervista a Left
Abbiamo volontariamente modificato il titolo dell’intervista perché l’originale è ingannevole nei confronti di chi legge e pensato in una logica di click baiting che non ci piace e non ci appartiene.
Dal governo viene ribadito che le informazioni dei cittadini saranno anonimizzate e poi cancellate dopo un certo tempo: quali sono i rischi dell’app rispetto alla privacy e alla nostra libertà?
Il bug dell’app è concettuale, non tecnico, tecnicamente potrebbe anche funzionare benissimo e rispettare tutti gli standard che il governo si vuole dare. Il punto è un altro: perché si ritiene che la prevenzione sanitaria possa essere garantita da una applicazione su un telefono cellulare? La app sarà soprattutto l’ennesimo “diario” da riempire di informazioni, in questo caso riguardanti la “percezione” che si ha della propria salute. Siamo ancora nell’illusione che attraverso il racconto di sé, la tecnologia possa prendersi cura di noi, come abbiamo descritto nel volume Anime elettriche. Ma quando stai male hai bisogno che ci siano persone competenti e in forze vicino a te, non l’assistente vocale.
Avete scritto che «non esistono tecnologie di controllo che siano anche “etiche”», ma Oms e comunità scientifica concordano nel dire che per allentare le misure di lockdown sia importante rilevare rapidamente i nuovi focolai, e in questo la tecnologia potrebbe fornire un grande aiuto. Qual è il modo migliore di utilizzare gli strumenti digitali, se si vuole tutelare al contempo la democrazia e la vita delle persone?
Gli strumenti digitali di cui stiamo parlando, che sono quelli oggi più in uso, non sono un modello di riferimento per tutelare la privacy delle persone, questa tecnologia non è interessata al loro benessere psico-emotivo o fisico. Certo, gli strumenti digitali possono aiutare, ma qui si registra soprattutto l’ansia di accumulare dati per analisi predittive a buon mercato. Come se la predizione di per sé costituisse un valore assoluto. Ma il pronostico senza organizzazione territoriale è irrilevante. La prevenzione non si fa con gli algoritmi, ma con la diffusione di pratiche anti-infettive condivise in un network fisico di luoghi e persone. Il modo migliore di usare la tecnologia certe volte è una sua applicazione metodologica, organizzativa. Una rete de-centralizzata infatti è la sola organizzazione in grado di creare unità autonome locali che possano reggere grossi attacchi esterni. E la rete dei servizi socio-sanitari locali ha già in se queste caratteristiche, occorre prendersene cura, potenziarla, innovarla anche attraverso la tecnologia. Ma non pensare che la tecnologia possa sostituirla. La sicurezza la fanno gli umani quando sono messi nella condizione di agire in modo autonomo, rapido e competente, non i droni che fanno i video in piazza Duomo a Milano.
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